Feedback di un gruppo noise scambiati per catcalling

Da mesi donne di qualsiasi età avevano imparato a non passare da sole in un punto preciso di una strada nella periferia di Catania. Ogni volta che qualcuna si azzardava a passare a quel punto era accolta da una bordata di fischi a volumi spesso altissimi, che coprivano ogni tentativo delle malcapitate di esprimere il proprio disappunto per un malcostume che da tempo è stato ribattezzato catcalling. Una pratica che ha radici antiche nel sessismo e maschilismo che permea ancora la cultura italiana e che non accenna a essere sradicato nonostante le campagne di molti media da qualche anno a questa parte.
L’ostilità verso il fenomeno rischia però anche di fare vittime innocenti, come i responsabili dei fischi: non si trattava infatti di apprezzamenti non richiesti verso le passanti, ma solo un pesante muro di feedback di un gruppo noise rock locale, che memore degli insegnamenti di capostipiti come Big Black o Sonic Youth, da tempo nella sua sala prove cercava maldestramente di imitarli. La band, che già aveva fatto i conti con le lamentele del vicinato, non immaginava che a furia di far fischiare i propri strumenti avrebbe trovato il quartiere tappezzato di volantini di femministe che minacciavano vendetta contro un misterioso molestatore seriale che agiva nascosto chissà dove. Qualcuna era persino arrivata a sospettare che il colpevole si celasse dietro quella serranda e l’aveva riempita di scritte ingiuriose che terminavano immancabilmente con ‘morte al patriarcato’.
Adesso il gruppo si trova nell’infelice situazione di poter uscire allo scoperto rischiando però di non essere convincente o di rimanere in silenzio e rischiare di ritrovarsi la sala prove bruciata. “Potremmo abbassare i volumi e ridurre i feedback ma significherebbe tradire i nostri ideali, preferiamo rischiare che arrenderci a una società che non sa distinguere una molestia da un fenomeno acustico”.

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